POESIE - VENETO
La canzone di Auliver
La "Canzone di Auliver", databile attorno al XIII secolo, presenta tratti tipici del trevigiano e del bellunese antico, riportando il testo all'area cittadina di Treviso. Ciò non toglie che, in accordo con la situazione di sincretismo culturale della Marca, vi compaiano, accanto a tratti più peculiari della zona (alcune forme lessicali, la -s di mas e fais e i dittonghi di cuer, leu, çeuch), insistiti provenzalismi (il condizionale volgr(a), aisì, cuidar), francesismi anche crudi (fait, il possessivo son, plaisir, fais) e tratti franco-veneti (come le affricate di çoi e zaitif).
Dialetto: Veneto

La canzone di Auliver
En rima greuf a far, a dir e stravolger,
tut che de li savii eu sia il men savio,
volgr' il mio sen un poch metr' e desvolger,
ché de ço far ai trop long temp stad gravio:
che'el me conven sul lad dei plangent volger,
a cui Amor se mostra fello e sdravio,
che sempremai li soi destrusse e pugna;
und'eo tegn mat quel ch'in tal ovra frugna:
ché, quand el def bon guiderdon recever,
se non de mal aver se pò percever.

Tut el servir pert e 'l son fait desconça
chi serf Amor, con' quel ch'in pred[a] çàpega;
plu sotilment che quel che vend ad onça,
inganna 'l math infintanto che 'l tràpega;
el son calur, ch'ard plu che viva bronça,
con' l'om plu 'l sent, et adès in sú ràpega;
tut altrui fait e plaisir li par nuglia;
con' ven de dred, fais aisí con' chi truglia,
ch'in leu del pes prend serp che 'l pò percoder.
A mi par van chi cred d'Amor çoi scoder.

Eu, las zaitif, fais aisí con chi struça
al çeuch, et altri n'ha 'l plaixir e l'asio;
e, quand eu cred meilg branchar çoi, el me muça;
et eu rimang col cor smarid e sfrasio.
Amor sovent tut el corp me speluça
fame semblant de darm' el son palaxio;
mas poi me ston con' quel ch'a mort sengloça,
né me daraf d'aigua pur una gloça.
No me val sen dir, far, scriver né leger,
ch'al meu plaxir ver' mi se voglia reger.

Amor me fes al prim, ço ch'el vols, crere,
sí con' fa [a]l mat quelui che trad bretòneghe;
fes-me cuidar c'om coglís de març pere,
e ch'el mantel, ch'el me des, fos doe tòneghe;
fes-me pensar plu de nonant[a] sere
ch'el m'ameraf plu che Dëu sant mòneghe
quella per cui el me torment' e frusta.
Cuidava ben che [ço] fos caosa justa,
e plu de bon cuer amava servirla;
bramavala plu ch'aor, argent né pirla.

Or m'è faglid tut quel ch'aver voliva,
sí ch'om me pò scriver su la matrúcola
dei gnud scrignid d'Amor; perch'eu crediva
lo dïamant speçar com'una cúcola;
e ben è ver quel ch[e l']om me desiva:
a nïent ven quel ch'in amor s'incrúcola;
no i val agur de corf né de cornigla;
quelui à 'l mal, che trop se n'incavigla.
Al bel guadangn, ch'eu n'ài, me 'n pos percoger,
che cent se'n part da lui çença 'l son scorger.

Auliver dis ch' esser pò tart l'acorger,
ver' che l'om del for lengua et ovra sporger.













Traduzione in italiano

La canzone di Auliver
In un tipo di verso difficile da fare, pronunciare e modulare,
nonostante che io dei maestri sia il meno abile,
vorrei qui la mia capacità mettere ed applicare;
ché di far ciò sono stato troppo tempo desideroso:
debbo considerare quei meschini
a cui Amore si mostra malvagio e rabbioso,
il quale sempre distrugge i suoi fedeli;
perciò io considero matto colui che fruga in tal cosa:
poiché, quando deve ricevere un buon compenso,
può accorgersi di averne soltanto uno cattivo.

Spreca tutto il servizio prestato e si danneggia
chi serve Amore, come colui che zappa sulla pietra;
più sottilmente di colui che vende frodando
inganna lo sciocco per tutto il tempo che con sé lo trascina;
il suo calore, che arde più della viva brace,
più lo si sente, e súbito in alto s'inerpica;
e nulla gli pare ogni altro sembiante e bellezza;
come l'innamorato persegue il suo scopo,
così io faccio come colui che pesca
e, al posto del pesce, cattura una serpe che lo può ferire.
Uno sciocco mi sembra chi crede, dall'Amore, di poter riscuotere gioia.

Io, lasso, infelice, faccio come colui che si affanna
al gioco, mentre sono altri, con agio, che ne traggono piacere;
e, quando io credo di poterla meglio afferrare, la gioia, egli mi sfugge via:
così rimango con il cuore smarrito e illanguidito.
Amore sovente tutto il corpo mi scortica,
mi dà l'impressione di darmi il suo palazzo;
ma poi io rimango come colui che singhiozza a morte,
né mi darebbe d'acqua neppure una sola goccia.
Non mi serve dire, fare, scrivere né leggere cose assennate
che il mio piacere nei miei confronti si voglia condurre.

Amore, all'inizio, mi fece credere ciò che volle
come fa, con lo sciocco, colui che vuol rifilargli finti rimedi;
mi fece credere che si cogliessero pere di marzo,
e che il mantello che mi diede fosse in realtà due tonache;
mi fece pensare per più di novanta sere
che lei m'avrebbe amato più di quanto il santo monaco ami Dio,
colei attraverso la quale egli mi tormenta e frusta.
Eppure io pensavo che questa fosse una cosa giusta,
e di buon cuore amavo servirla;
la desideravo più dell'oro, dell'argento, di un pendente prezioso.

Ora mi è venuto a mancare tutto ciò che desideravo avere,
cosicché mi si può iscrivere nella matricola
dei miseri scherniti d'Amore; perché io credevo
di spezzare il diamante come una noce;
ed è ben vero ciò che mi dicevano: finisce in miseria chi dall'amore si fa legare;
né servono i cattivi presagi tratti dai voli del corvo e della cornacchia;
colui ha il male che troppo vi si inchioda.
Del bel guadagno che ne ho avuto, ora me ne accorgo,
che cento da lui si dipartono senza il suo viatico.

Auliver dice che ci si rende conto che tutto è inutile sempre troppo tardi
rispetto a ciò che si fa con tanta fatica e affanno.
















Racconto inviato da: Ivan Crico