PROVERBI CAMPANIA
Lista proverbi mandati dagli utenti di Dialettando.com
E bravo a 'o fesso!
Letteralmente: E bravo allo sciocco! La frase in epigrafe la si usa sempre quando si voglia ironicamente plaudire all'operato di chi pretende da saccente e supponente, con la propria azione di dimostrare la propria valentia nei confronti di qualcuno a cui non riesca di agire alla medesima stregua. Più chiaramente, la locuzione è usata a mo' di presa in giro di coloro che fanno le viste di ritenersi superiori agli altri e in realtà se lo sono non è per maggiori capacità fisiche e/o morali, ma solo per fortunose o ovvie ragioni. Per meglio chiarire spieghiamo con un esempio. Poniamo vi sia un uomo infortunato alle gambe che abbia difficoltà ad ascendere una scala a pioli. Si presenta uno sciocco che, essendo pienamente integro nella sua salute, con irrisoria facilità ascende la scala e commenta con aria saccente: "Visto come è facile?". La risposta che si merita codesto sciocco è quella in epigrafe, che nel caso dell'esempio starebbe a significare: Sei così stupido da non renderti conto che se anche io fossi nella mia integrità fisica, non avrei difficoltà a fare ciò che hai fatto tu!
Campania
Quanno 'o mellone jesce russo, ogneduno ne vò 'na fella.
Letteralmente: Quando il cocomero al taglio si presenta ben colorito di rosso, ognuno ne vuole una fetta. Id est: Quando l'occasione è buona, ognuno cerca di ottenerne il massimo vantaggio. Per traslato, l'espressione si usa quando si voglia bollare il comportamento di chi è sempre pronto a saltare sul carro del vincitore...
Campania
Si 'o Signore me pruvvede, m'aggi' 'a fà 'nu quacchero luongo 'nfino a 'e piede.
Letteralmente: Se il Cielo mi dà provvidenza, debbo farmi un soprabito lungo fino ai piedi. Id est: se avrò fortuna e aiuto dal Cielo mi voglio ricoprire fino ai piedi per modo che non possa temere offese dall'esterno. La parola quacchero nel senso di cappotto è modellata sul termine quaccheri, rammentando i lunghi costumi indossati da costoro.
Campania
Ll'abbate Taccarella.
Letteralmente: l'abate Taccarella. Con questo soprannome viene bollato, a Napoli, la malalingua, lo sparlatore, colui che, metaforicamente, tagliuzzi gli abiti addosso ad una persona; il nome Taccarella è chiaramente un deverbale desunto appunto dal verbo taccarià che significa tagliuzzare, ridurre in minuti pezzetti.
Campania
T' he pigliato 'e ccient' ove.
Letteralmente: hai preso le cento uova; hai bevuto cento uova. Id est: sei diventato pazzo. La locuzione rammenta un antichissimo metodo di cura della pazzia in uso a Napoli nei sec. XV e XVI, al tempo di un famosissimo medico dei pazzi, tale Giorgio Cattaneo - dal cui nome derivò poi il termine mastuggiorgio che indica appunto il castigamatti - il quale medico pare inventasse la cura coercitiva per il folle di dover assumere ben cento uova di seguito e poi, sotto la minaccia di una frusta, di girare la ruota di un pozzo.
Campania
Frijenno, magnanno.
Letteralmente: friggendo e mangiando. L'uso, tutto napoletano, di mettere in fila due gerundi, senza un apparente modo finito reggente, sta ad indicare che le due azioni debbono essere eseguite quasi contemporaneamente, senza soluzione di continuità, e - nella fattispecie - il cibo una volta fritto deve essere subito consumato, senza indugio, con immediatezza e rapidità. Il cibo, sottinteso nella locuzione, è rappresentato dalle famosissime paste cresciute, dai tittoli, dai fiori di zucca in pastella e da tutte quelle numerose verdure, fette di ricotta, uova sode, animelle etc. che concorrono a formare quello che erroneamente si dice fritto all'italiana e che sarebbe più consono dire fritto alla napoletana, giacchè in Napoli fu ideato questo tipo di preparazione culinaria da consumarsi velocemente all'impiedi davanti ai banchi delle friggitorie (antenate delle moderne pizzerie) esercizi dove detto fritto veniva preparato ed offerto seduta stante all'avventore anche frettoloso.
Campania
Fatte 'na bbona annummenata e va'scassanno chiesie.
Letteralmente: procura di farti una buona nomea e poi saccheggia pure le chiese. Id est: ciò che conta nella vita è di godere di una buona opinione presso i terzi, poi si possono operare i peggiori misfatti, addirittura furti sacrileghi, nessuno mai sospetterà di uno che gode di buona nomea. La locuzione insomma affronta l'antico dilemma: essere o apparire e propende, stranamente per la cultura popolare, da sempre incline dalla parte della sostanza piuttosto che da quella della forma, per il secondo corno del dilemma.
Campania
Ammacca e sala, aulive 'e Gaeta.
Letteralmente: schiaccia e sala, olive di Gaeta! Di per sè è la voce - ossia la frase di richiamo - usata dai venditori di olive e con essa si rammenta la tecnica della conservazione in salamoia delle olive che vengono stipate in botticelle e conservate in un bagno di acqua salata. Con la stessa locuzione si suole commentare a mo' di riprovazione, il comportamento di coloro che operano in maniera rapida e superficiale, senza porre attenzione ed applicazione a ciò che sono stati chiamati a fare.
Campania
Cca 'e ppezze e cca 'o sapone.
Letteralmente: di qui le pezze e di là il sapone. E' il modo rapidamente incisivo per dire che non si fa credito di sorta. Chi usa detta locuzione intende comunicare che con lui non si fanno contratti se non a prestazione e controprestazione immediata, contratti dove il do e il des sono contemporanei. Originariamente, la locuzione era usata dai robivecchi girovaghi detti "SAPUNARI" che offrivano in cambio di abiti dismessi un tot di sapone quale merce di scambio.
Campania
M''o ssento 'e scennere pe dereto a 'e rine.
Letteralmente: me lo sento colare lungo il filo della schiena. L'espressione viene usata con senso di rammarico se non di timore, quando si voglia comunicare a terzi di avvertire su se stessi la sensazione di un prossimo imminente disastro e/o pericolo e di non potervi porre riparo.
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