Le ricette
della regione Campania
Frittura di triglie al pomodoro
La triglia (con etimo dal greco trîgla, collaterale di trígle dal verbo trízein = soffiare, 'gridare', per il rumore che emette se tolta dall'acqua, a causa della contrazione della vescica natatoria) è un gustosissimo pesce di mare lungo fino a 40 cm di color rossiccio, col muso allungato dal profilo obliquo; à carni pregiate (ord. Perciformi), corpo fusiforme, allungato ricoperto di grosse squame. Testa corta, bocca piccola posta in basso. Mascelle dotate di piccoli denti, dal mento partono 2 lunghi barbigli; dispone di 2 pinne dorsali, una pinna anale, 2 ventrali e pettorali, pinna codale con estremità irregolari, colorazione rossastra sul dorso e sui fianchi, biancastra sul ventre. Sulla prima pinna dorsale sono presenti 2 strisce rosso scuro. A seconda della loro provenienza, si possono trovare: triglie "di sabbia o di fango" con muso arrotondato e colore rosato; triglie di scoglio cioè la qualità migliore, con muso appuntito e colore rosso giallo dorato; triglie rosse, con gustose e delicate carni bianche; sia le triglie di scoglio che le triglie rosse si prestano ad ottime preparazioni (triglie al cartoccio, alla livornese etc.); i risultati migliori si ottengono con le triglie di scoglio. Ricordo che la triglia è un pesce molto delicato, per cui è necessario, nel pulirla, maneggiarla con grande attenzione per evitare che si rompa. La pulizia si comincia eliminando con delicatezza, ma decisione (servendosi di appuntite ed affilate forbici) dapprima tutte le pinne, poi le grosse branchie ed infine le squame grattandole via con un coltello posizionato con la lama posta a 45° gradi sul corpo del pesce ed azionata nel senso contrario al posizionamento delle grosse squame;occorre poi aprire il ventre, (con un taglio longitudinale dalla bocca alla pinna anale) per eviscerar la triglia; è però piuttosto difficile togliere le lische, nel caso si volesse sfilettar le triglie, ed occorrerebbe quasi sempre strapparle ad una ad una con una pinzetta; ma per la frittura non è però necessario (anzi è sconsigliato) togliere le spine.
Inviato da: Raffaele Bracale - Napoli
La triglia (con etimo dal greco trîgla, collaterale di trígle dal verbo trízein = soffiare, 'gridare', per il rumore che emette se tolta dall'acqua, a causa della contrazione della vescica natatoria) è un gustosissimo pesce di mare lungo fino a 40 cm di color rossiccio, col muso allungato dal profilo obliquo; à carni pregiate (ord. Perciformi), corpo fusiforme, allungato ricoperto di grosse squame. Testa corta, bocca piccola posta in basso. Mascelle dotate di piccoli denti, dal mento partono 2 lunghi barbigli; dispone di 2 pinne dorsali, una pinna anale, 2 ventrali e pettorali, pinna codale con estremità irregolari, colorazione rossastra sul dorso e sui fianchi, biancastra sul ventre. Sulla prima pinna dorsale sono presenti 2 strisce rosso scuro. A seconda della loro provenienza, si possono trovare: triglie "di sabbia o di fango" con muso arrotondato e colore rosato; triglie di scoglio cioè la qualità migliore, con muso appuntito e colore rosso giallo dorato; triglie rosse, con gustose e delicate carni bianche; sia le triglie di scoglio che le triglie rosse si prestano ad ottime preparazioni (triglie al cartoccio, alla livornese etc.); i risultati migliori si ottengono con le triglie di scoglio. Ricordo che la triglia è un pesce molto delicato, per cui è necessario, nel pulirla, maneggiarla con grande attenzione per evitare che si rompa. La pulizia si comincia eliminando con delicatezza, ma decisione (servendosi di appuntite ed affilate forbici) dapprima tutte le pinne, poi le grosse branchie ed infine le squame grattandole via con un coltello posizionato con la lama posta a 45° gradi sul corpo del pesce ed azionata nel senso contrario al posizionamento delle grosse squame;occorre poi aprire il ventre, (con un taglio longitudinale dalla bocca alla pinna anale) per eviscerar la triglia; è però piuttosto difficile togliere le lische, nel caso si volesse sfilettar le triglie, ed occorrerebbe quasi sempre strapparle ad una ad una con una pinzetta; ma per la frittura non è però necessario (anzi è sconsigliato) togliere le spine.
Inviato da: Raffaele Bracale - Napoli
CROSTATA AUTUNNALE DI TAGLIOLINI.
Cominciamo col dire che per questa preparazione occorre della pasta sfoglia che può ovviamente prepararsi in casa con farina, burro, sale ed acqua ed armandosi di pazienza e matterello, ma siccome nei banchi dei surgelati se ne trova dell’ottima oltre che economica, ecco che è inutile affaticarsi. Valga lo stessa cosa per i tagliolini, posto che in commercio se ne trovano di buonissimi (freschi o secchi) preparati industrialmente, ma alla maniera artigianale.
Inviato da: Raffaele Bracale - Napoli
Cominciamo col dire che per questa preparazione occorre della pasta sfoglia che può ovviamente prepararsi in casa con farina, burro, sale ed acqua ed armandosi di pazienza e matterello, ma siccome nei banchi dei surgelati se ne trova dell’ottima oltre che economica, ecco che è inutile affaticarsi. Valga lo stessa cosa per i tagliolini, posto che in commercio se ne trovano di buonissimi (freschi o secchi) preparati industrialmente, ma alla maniera artigianale.
Inviato da: Raffaele Bracale - Napoli
FUSILLI SAPORITI
Veloce, ma gustosissima preparazione di gusto piccante.
Inviato da: Raffaele Bracale - Napoli
Veloce, ma gustosissima preparazione di gusto piccante.
Inviato da: Raffaele Bracale - Napoli
‘A frittata d’’o rre Lazzarone
Cominciamo col dire che con l’epiteto (ma niente affatto dispregiativo)di Re Lazzarone si fa riferimento a Ferdinando I di Borbone (Napoli, 12 gennaio 1751 - Napoli, 4 gennaio 1825). Figlio terzogenito del re di Napoli e Sicilia Carlo di Borbone e Maria Amalia di Sassonia; fu re di Napoli dal 1759 al 1799, dal 1799 al 1806 e dal 1815 al 1816 con il nome di Ferdinando IV di Napoli, nonché re di Sicilia dal 1759 al 1816 con il nome di Ferdinando III di Sicilia. Dopo questa data, e con l'unificazione delle due monarchie nel Regno delle Due Sicilie, fu sovrano di tale regno dal 1816 al 1825 con il nome di Ferdinando I delle Due Sicilie. Questo sovrano (che fu amatissimo dal popolo ed ingiustamente poi vilipeso dalla prezzolata storiografia postunitaria) si ebbe proprio dall’amato popolo il soprannome affettuoso di Re Lazzarone; il popolo infatti amò súbito fin dal primo giorno del suo regno quel giovane re, e comprense che il sovrano non era uno stupido, quantunque non gradisse impegni seri, odiasse lo studio e si rifiutasse sempre, categoricamente, di imparare le lingue, compresa la lingua italiana. Infatti Ferdinando I parlava solo napoletano ed aveva abitudini che gli assicurarono l’affetto incondizionato del popolino, che lo spalleggiò per l’intero suo lunghissimo regno. L’ atteggiamento di questo sovrano nei riguardi dei sudditi supera di gran lunga la maniera di regnare delle monarchie nord europee, oggi tanto apprezzata e lodata: egli bighellonava, senza timori, per le strade in compagnia di scugnizzi, cacciava e pescava con grande bravura e provvedeva a rivendere selvaggina e pesce al mercato in concorrenza con i titolari delle bancarelle;altro suo svago prediletto fu quello della cucina dove si divertiva a veder preparare o a preparare da sé cibi gustosi seppur semplici il tutto in linea con il suo carattere semplice e bonario. Tutte queste abitudini gli valsero l’ affettuoso appellativo di Re lazzarone( accrescitivo (vedi suff. one) dell’iberico lazaro =monello, popolano scostumato) oppure Re burlone (per le burle con cui amava prendersi gioco di cortigiani e popolani) o quello simpaticamente dissacrante di Re nasone(in riferimento al suo naso di notevoli proporzioni). Tutti i popolani gli volevano bene perché lo sentivano uno dei loro in tutto e per tutto: nella spensieratezza, nella furbizia comportamentale, nella bonomia etc. Odiava la vita di corte e, per sottrarsi ai suoi rituali, che lo annoiavano profondamente, era sempre a caccia fra Caserta e Portici, amava il cibo semplice e genuino, dormiva spesso nei fienili e preferiva formose e compiacenti popolane e contadine alle sofisticate e disponibili dame che frequentavano il palazzo reale; spesso – come ò detto – si rifugiava in cucina e spessissimo frequentava (travestito da guappo o zerbinotto) infime bettole e taverne dove giocava a carte (talvolta barando) con popolani ivi incontrati. Ciò detto veniamo alla ricetta di questa frittata con ortaggi che tradizione vuole fosse spesso preparata con le proprie mani dal Re Ferdinando nelle cucine della Reggia di Portici, contado adiacente la città di Napoli, contado ricco di orti e campagne dove erano reperibili tutti i giorni freschissimi ortaggi (cipolle, patate, zucchine, peperoni) di cui il Re si cibava volentieri. Do qui di sèguito le dosi e gli ingredienti per quattro persone, ma va da sé che possono variarsi a seconda del numero dei commensali.
Inviato da: Raffaele Bracale - Napoli
Cominciamo col dire che con l’epiteto (ma niente affatto dispregiativo)di Re Lazzarone si fa riferimento a Ferdinando I di Borbone (Napoli, 12 gennaio 1751 - Napoli, 4 gennaio 1825). Figlio terzogenito del re di Napoli e Sicilia Carlo di Borbone e Maria Amalia di Sassonia; fu re di Napoli dal 1759 al 1799, dal 1799 al 1806 e dal 1815 al 1816 con il nome di Ferdinando IV di Napoli, nonché re di Sicilia dal 1759 al 1816 con il nome di Ferdinando III di Sicilia. Dopo questa data, e con l'unificazione delle due monarchie nel Regno delle Due Sicilie, fu sovrano di tale regno dal 1816 al 1825 con il nome di Ferdinando I delle Due Sicilie. Questo sovrano (che fu amatissimo dal popolo ed ingiustamente poi vilipeso dalla prezzolata storiografia postunitaria) si ebbe proprio dall’amato popolo il soprannome affettuoso di Re Lazzarone; il popolo infatti amò súbito fin dal primo giorno del suo regno quel giovane re, e comprense che il sovrano non era uno stupido, quantunque non gradisse impegni seri, odiasse lo studio e si rifiutasse sempre, categoricamente, di imparare le lingue, compresa la lingua italiana. Infatti Ferdinando I parlava solo napoletano ed aveva abitudini che gli assicurarono l’affetto incondizionato del popolino, che lo spalleggiò per l’intero suo lunghissimo regno. L’ atteggiamento di questo sovrano nei riguardi dei sudditi supera di gran lunga la maniera di regnare delle monarchie nord europee, oggi tanto apprezzata e lodata: egli bighellonava, senza timori, per le strade in compagnia di scugnizzi, cacciava e pescava con grande bravura e provvedeva a rivendere selvaggina e pesce al mercato in concorrenza con i titolari delle bancarelle;altro suo svago prediletto fu quello della cucina dove si divertiva a veder preparare o a preparare da sé cibi gustosi seppur semplici il tutto in linea con il suo carattere semplice e bonario. Tutte queste abitudini gli valsero l’ affettuoso appellativo di Re lazzarone( accrescitivo (vedi suff. one) dell’iberico lazaro =monello, popolano scostumato) oppure Re burlone (per le burle con cui amava prendersi gioco di cortigiani e popolani) o quello simpaticamente dissacrante di Re nasone(in riferimento al suo naso di notevoli proporzioni). Tutti i popolani gli volevano bene perché lo sentivano uno dei loro in tutto e per tutto: nella spensieratezza, nella furbizia comportamentale, nella bonomia etc. Odiava la vita di corte e, per sottrarsi ai suoi rituali, che lo annoiavano profondamente, era sempre a caccia fra Caserta e Portici, amava il cibo semplice e genuino, dormiva spesso nei fienili e preferiva formose e compiacenti popolane e contadine alle sofisticate e disponibili dame che frequentavano il palazzo reale; spesso – come ò detto – si rifugiava in cucina e spessissimo frequentava (travestito da guappo o zerbinotto) infime bettole e taverne dove giocava a carte (talvolta barando) con popolani ivi incontrati. Ciò detto veniamo alla ricetta di questa frittata con ortaggi che tradizione vuole fosse spesso preparata con le proprie mani dal Re Ferdinando nelle cucine della Reggia di Portici, contado adiacente la città di Napoli, contado ricco di orti e campagne dove erano reperibili tutti i giorni freschissimi ortaggi (cipolle, patate, zucchine, peperoni) di cui il Re si cibava volentieri. Do qui di sèguito le dosi e gli ingredienti per quattro persone, ma va da sé che possono variarsi a seconda del numero dei commensali.
Inviato da: Raffaele Bracale - Napoli
Pâté di tonno
Gustosissimo pasticcio da servire come pietanza o antipasto.
Inviato da: Raffaele Bracale - Napoli
Gustosissimo pasticcio da servire come pietanza o antipasto.
Inviato da: Raffaele Bracale - Napoli
CANNARUNCIELLE D’’O PECUOZZO
Cominciamo col dire che la voce partenopea pecuozzo di per sé à un ambito più ristretto delle voci della lingua nazionale:bigotto/a,bacchettone/a, baciapile, collotorto, pinzochero/a che designano tutte all’incirca una persona che badi alle pratiche esterne della religione piú che allo spirito di essa, ed estensivamente quindi una persona ipocrita attenta piú all’apparire che all’essere; la voce partenopea identifica infatti in primis il frate converso, il frate laico di convento e solo estensivamente tutte le voci dell’italiano che si traducon tutte con la voce bizzuoco che al femm. è bizzoca; quanto all’etimologia di bizzuoco accanto ad un basso lat. *bigiòcius= dal saio bigio, ben si è supposto un *bicòtiu(m) donde un *picotiu(m) base del surriportato nap. picuozzo da cui per metatesi ed alternanza p/b bizzuoco. Se ne deduce, per tornare all’àmbito della ricetta, che essa con ogni probabilità fu approntata per la prima volta da un frate laico di convento addetto alla cucina, sembra, del Monastero napoletano dei Cappuccini di sant’Eframo vecchio (la piazza sant’Eframo vecchio sita in Napoli in una zona popolare ricca di orti in origine fu intitolata ad un tal Efebo che fu un santo vescovo napoletano del IV sec. e di piú non è dato sapere; il nome Eframo è una strana corruzione popolare del nome Efebo); il fatto che il convento dei Cappuccini fosse situato in zona ricca di orti comportò che spesso i frati conversi addetti alla cucina del monastero, chiedessero ed ottenessero, nella loro cerca (questua) quotidiana, prodotti vegetali che usavano poi nelle preparazione di ricette per il sostentamento quoditiano dei monaci. Tradizione vuole che una delle ricette piú gradita alla comunità monastica fosse appunto quella che qui di sèguito illustro.
Inviato da: Raffaele Bracale - Napoli
Cominciamo col dire che la voce partenopea pecuozzo di per sé à un ambito più ristretto delle voci della lingua nazionale:bigotto/a,bacchettone/a, baciapile, collotorto, pinzochero/a che designano tutte all’incirca una persona che badi alle pratiche esterne della religione piú che allo spirito di essa, ed estensivamente quindi una persona ipocrita attenta piú all’apparire che all’essere; la voce partenopea identifica infatti in primis il frate converso, il frate laico di convento e solo estensivamente tutte le voci dell’italiano che si traducon tutte con la voce bizzuoco che al femm. è bizzoca; quanto all’etimologia di bizzuoco accanto ad un basso lat. *bigiòcius= dal saio bigio, ben si è supposto un *bicòtiu(m) donde un *picotiu(m) base del surriportato nap. picuozzo da cui per metatesi ed alternanza p/b bizzuoco. Se ne deduce, per tornare all’àmbito della ricetta, che essa con ogni probabilità fu approntata per la prima volta da un frate laico di convento addetto alla cucina, sembra, del Monastero napoletano dei Cappuccini di sant’Eframo vecchio (la piazza sant’Eframo vecchio sita in Napoli in una zona popolare ricca di orti in origine fu intitolata ad un tal Efebo che fu un santo vescovo napoletano del IV sec. e di piú non è dato sapere; il nome Eframo è una strana corruzione popolare del nome Efebo); il fatto che il convento dei Cappuccini fosse situato in zona ricca di orti comportò che spesso i frati conversi addetti alla cucina del monastero, chiedessero ed ottenessero, nella loro cerca (questua) quotidiana, prodotti vegetali che usavano poi nelle preparazione di ricette per il sostentamento quoditiano dei monaci. Tradizione vuole che una delle ricette piú gradita alla comunità monastica fosse appunto quella che qui di sèguito illustro.
Inviato da: Raffaele Bracale - Napoli